Articolo 19. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Per rispondere a questo quesito, occorre innanzitutto chiarire i concetti di responsabilità civile e penale
Si ha una responsabilità civile tutte le volte in cui viene violato un obbligo previsto dal diritto privato, quello cioè che regola i normali rapporti tra soggetti. Ad esempio, per il mancato pagamento di un debito, per l’inadempimento di un contratto, per un incidente stradale senza feriti, per il danneggiamento involontario di un bene altrui (si pensi alle infiltrazioni di acqua nell’appartamento di sotto causate da una tubatura rotta), per un licenziamento illegittimo, per una costruzione troppo prossima al confine del vicino, ecc.
In tutti questi casi, l’unica conseguenza è, nei limiti del possibile, eliminare le conseguenze negative della condotta illecita, ripristinando lo stato dei fatti antecedente ed, eventualmente, risarcire i danni nella misura in cui ce ne siano e siano stati dimostrati.
Si ha invece una responsabilità penale quando viene commesso un fatto che la legge prevede come reato. Ad esempio si ha responsabilità penale quando non si versa il mantenimento all’ex moglie o ai figli, quando si diffama una persona in pubblico, quando si danneggia volontariamente la proprietà del vicino o la si invade, quando si compiono dei crimini informatici, quando si denuncia una persona che si sa invece essere innocente, quando si rende una falsa testimonianza nel corso di una causa, quando si simula un incidente stradale o quando invece lo si commette e da questo derivano lesioni alle persone di una certa entità, ecc.
Le conseguenze della responsabilità penale sono innanzitutto le sanzioni previste dalle singole leggi per tali condotte. Impossibile definirle in anticipo; esse comunque sono graduate in base a un criterio di proporzionalità. In secondo luogo c’è – anche qui – il risarcimento del danno per tutte le conseguenze, sul piano patrimoniale e morale, che il reato ha comportato.
I GENITORI RISPONDONO DELLA RESPONSABILITA’ PENALE DEI FIGLI?
Le regole sulla responsabilità penale sono molto più semplici di quelle sulla responsabilità civile.
In caso di responsabilità penale, infatti, a rispondere dei comportamenti illeciti è solo l’autore materiale del reato. È impossibile che una persona possa andare in carcere al posto di un’altra a meno che non sia stata compartecipe del suo crimine o, avendo l’obbligo di evitarlo, non lo ha fatto.
Tenendo conto che l’età in cui si diventa responsabili dei reati è 14 anni, già da questo momento il minore subisce le sanzioni previste dalla legge penale.
Un genitore non risponderà mai dei reati commessi dal figlio, almeno sotto il profilo sanzionatorio. E ciò vale sia che il figlio sia minorenne, sia che abbia meno di 14 anni, sia che ne abbia di più. Nessuna pena sconteranno, quindi, il padre e la madre per l’atto di bullismo commesso dal ragazzo a scuola, per l’investimento del pedone avvenuto mentre guidava il motorino, per il furto al supermercato, ecc.
Diverso discorso vale invece per le conseguenze risarcitorie ossia per quelle che, anche se conseguenti da un reato, riflettono gli aspetti civilistici della vicenda. Infatti i genitori sono tenuti a risarcire i danni (civili) per il reato commesso dal figlio finché questi è minorenne. Ad esempio, se un ragazzo di 16 anni picchia un compagno a scuola e ne provoca gravi ferite, la sanzione penale ricade sul colpevole mentre a risarcire la vittima saranno i genitori del colpevole.
Solo dopo i 18 anni, i genitori non avranno alcuna conseguenza per i danni dei reati commessi dal figlio.
I GENITORI RISPONDONO DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE DEI FIGLI?
A differenza del penale, nell’ambito del diritto civile alcune norme estendono la responsabilità per i danni anche a soggetti che non hanno alcun legame con il fatto, che cioè non l’hanno né voluto né causato per colpa.
La semplice relazione con il responsabile del comportamento implica l’estensione di responsabilità. Così, ad esempio, i tutori, gli insegnanti e i genitori rispondono dei danni commessi dai minori nel momento in cui questi erano soggetti al loro controllo; il titolare di un’azienda rimborsa le vittime dell’inquinamento provocato dagli scarichi, dai fumi o dai rumori; la banca deve restituire al correntista i soldi trafugati dai criminali informatici che hanno clonato la carta di credito; il comune deve versare un indennizzo alle vittime di buche, fosse, tombini e gradini pericolanti; il proprietario di un cane risarcisce per i danni causati dall’animale scappato dal recinto mentre, se lo stesso cane è portato al guinzaglio da un altro familiare e, in quel frangente, aggredisce un passante, è chi lo custodisce in quel momento che ci va di mezzo.
Di conseguenza, i genitori sono responsabili di tutti i danni causati dal figlio minorenne perché ancora incapace di intendere e volere. Essi si liberano dalla responsabilità solo se dimostrano di non aver potuto impedire il fatto. Si tratta però di un onere particolarmente difficile da adempiere visto che, su di essi, grava l’obbligo di impartire al figlio una corretta educazione e, quindi, di inculcargli le regole del vivere civile.
I GENITORI SONO RESPONSABILI DEI DEBITI DEI FIGLI MINORI?
I debiti sono le conseguenze di un impegno di natura civile. Per cui la regola è che, in teoria, nel caso di figlio minorenne, i genitori sono tenuti a pagare al posto di questi.
Tuttavia, il contratto stipulato da un minore è annullabile dai genitori in quanto concluso da un soggetto incapace. L’annullamento del contratto deve avvenire entro massimo 5 anni. Per cui se il figlio compra un motorino o un cappotto e paga un anticipo ma non versa il residuo, il negoziante può sì rivalersi contro i genitori ma, se non sono passati ancora cinque anni, questi possono chiedere al giudice di annullare il contratto: dovranno, a tal fine, restituire il bene acquistato e chiedere il rimborso dei soldi già versati.
Differente è il discorso per i debiti derivanti da fatti illeciti, siano essi reati (ad esempio un investimento col motorino) o meno (ad esempio una pallonata contro un vetro). In questo secondo caso non c’è alcun contratto da annullare e i genitori sono tenuti a pagare il debito per conto del figlio.
I GENITORI RISPONDONO DEI DEBITI DI GIOCO DEI FIGLI MINORENNI?
I debiti di gioco, da chiunque contratti (maggiorenne o meno) non possono essere mai rivendicati con i meccanismi legali. Cioè il creditore non ha armi giudiziali per il recupero dei propri soldi, perché si tratta di «obbligazioni naturali» che o si adempiono spontaneamente o non c’è possibilità per chiederli tramite il tribunale.
I GENITORI RISPONDONO DEI DEBITI DEI FIGLI MAGGIORENNI?
No, i debiti dei figli maggiorenni non ricadono mai sui genitori. Padre e madre non saranno quindi responsabili del fallimento dell’attività del figlio, del suo mancato pagamento delle utenze, dei creditori rimasti insoddisfatti, ecc.
I GENITORI RISPONDONO DEI DEBITI DEI FIGLI MAGGIORENNI CONVIVENTI?
Facciamo l’ipotesi che il figlio maggiorenne conviva ancora con i genitori e dunque abbia residenza presso la stessa casa: se i creditori propongono un pignoramento mobiliare, l’ufficiale giudiziario si recherà presso la comune abitazione. In tal caso, secondo costante giurisprudenza, si presume che i beni presenti in casa appartengono al debitore; ecco allora che anche in caso di figlio maggiorenne i genitori potrebbero trovarsi a rispondere dei debiti da questo contratti.
Ai genitori spetta dimostrare, seduta stante o con un successivo ricorso al giudice dell’esecuzione, di essere i legittimi titolari di tali oggetti.
La prova però va data con atto scritto avente “data certa” (quindi non basta un contratto di comodato che facilmente potrebbe essere retrodatato, ad eccezione quindi del contratto di comodato registrato). Non è possibile quindi valersi di testimoni. Con la conseguenza che a tal fine sarà necessario produrre un documento che attesti inequivocabilmente la proprietà del bene, un documento che raramente è presente per i beni mobili presenti all’interno di un’abitazione. Quindi, un televisore, un divano, un tappeto, un quadro: sono tutti beni che possono essere pignorati dall’ufficiale se i genitori non riescono a dimostrare di averli pagati con i propri soldi
Una recente pronuncia della Cassazione (sez. II Civile, 12.03.19, n. 7207) chiarisce quali sono i requisiti per escludere dalla comunione dei beni la casa acquistata con denaro di uno solo dei coniugi.
In linea generale i beni acquistati durante il matrimonio da ciascuno dei coniugi ricadono immediatamente in comunione. Se i coniugi acquistano insieme, acquisiscono la titolarità congiuntamente e in parità di quote del bene che confluisce nella comunione legale.
Anche gli acquisti fatti da un solo coniuge separatamente confluiscono nella comunione.
Sottrarre un bene alla comunione non è lecito, richiede diversi requisiti, come chiarito bene dalla Cassazione nella pronuncia di qualche giorno fa.
I vantaggi di attribuire la titolarità di un .bene a un solo coniuge, nonostante la comunione legale, lo si vede in caso di:
L’art. 179 del codice civile stabilisce che non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del dannononché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.
Proprio qui si innesta la recente pronuncia della Cassazione.
La Cassazione sottolinea che nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei due coniugi in regime di comunione legale, oltre alla partecipazione al rogito notarile dell’altro coniuge non acquirente si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione; né basta il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene. È necessario che ricorra una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dal codice civile.
I coniugi non possono, quindi, decidere (anche se sono d’accordo) di escludere un determinato acquisto dalla comunione se non si è in presenza di una delle condizioni di esclusione che abbiamo elencato sopra.
Ed allora – conclude la Corte – non basta dire che la casa è acquistata con il denaro personale di uno dei coniugi, ma bisogna anche poterlo dimostrare. Se manca tale prova, l’immobile rientra nella comunione dei beni. Quindi potrà essere acquisito da una eventuale procedura fallimentare, potrà essere pignorato (al 50%) dai creditori dell’altro coniuge non acquirente o andrà diviso in caso di separazione e divorzio tra marito e moglie.
Grazie a questo sistema brevettato da un gruppo di studenti di ingegneria del KTH (Royal Institute of Technology) di Stoccolma non sarà più possibile non udire la sirena dei mezzi di soccorso a causa della musica ascoltata a volume alto dai conducenti o delle telefonate in corso.
Tutte le ambulanze di Stoccolma hanno iniziato a sperimentare il dispositivo in grado di salvare vite permettendo soccorsi più rapidi e sicuri.
L’incremento degli incidenti che coinvolgono mezzi di soccorso e automobili private ha spinto questo gruppo di studenti di ingegneria a realizzare questo dispositivo. Il tempo necessario alla reazione, di solito, è di 10-15 secondi, mentre sempre più spesso capita che gli automobilisti si rendano conto della presenza dei mezzi di emergenza soltanto un paio di secondi prima di vederli e ne vengano colti di sorpresa, proprio per colpa dell’isolamento acustico.
Denominato “Sistema EVAN” , questo dispositivo è in grado di comunicare con ogni apparecchio dotato di Radio Data System nelle vicinanze, disattivando i dispositivi elettronici in grado di riprodurre musica. Oltre al messaggio testuale sarà riprodotto un messaggio vocale per avvisare gli automobilisti dell’imminente arrivo dell’ambulanza, informandole di liberare la strada.
Il sistema EVAM, prevede una trasmissione radio da parte del mezzo di emergenza sulle frequenze FM vicine (a patto che gli apparecchi siano dotate di Radio Data System) ed una trasmissione tramite Bluetooth. È prevista anche la comparsa di un messaggio di testo sul display della radio.
Il segnale arriva, ad autoradio accesa, interrompendo cd, radio o musica da bluetooth con una voce che annuncia il sopraggiungere dell’ambulanza, prevedendo in anticipo quanto tempo prima l’automobilista deve ascoltare l’avviso a seconda del traffico, calcolando perfettamente i tempi a seconda che ci si trovi nel traffico cittadino, in autostrada o su strade a scorrimento veloce.
La fase sperimentale durerà 3 mesi e riguarderà solamente le ambulanze di Stoccolma. Una volta analizzati i dati verrà deciso se installare il sistema EVAN su ogni ambulanza svedese.
La fattura elettronica ha un formato ben preciso che include diversi campi per cui bisogna specificare delle informazioni o codici. Le modalità di pagamento ammesse per la fattura elettronica con i relativi codici sono le seguenti:
La legge che istituisce, dal 1° gennaio 2019, l’obbligo di emettere la fatture elettronica si occupa solo della sua emissione ma non del ricevimento.
La fattura elettronica può essere anticipata informalmente al contribuente anche per via cartacea o con un’email. Infatti molti software gestionali prevedono la possibilità di inviare anche per email una sorta di fattura di cortesia.
Il contribuente, così, non ha l’obbligo di collegarsi al sistema Spid per verificare la presenza di fatture elettroniche da pagare. Tuttavia si tratta comunque di copie di cortesia che non hanno alcun valore legale o tributario.
In merito al pagamento della fattura elettronica non è cambiato nulla.
Si può pagare una fattura elettronica in contanti solo a condizione che l’importo non superi 2.999,99 euro. Da 3.000 euro in poi è necessario corrispondere la somma solo con strumenti tracciabili ossia con bonifico bancario, carte di debito (bancomat) o di credito, assegni non trasferibili.
Nessuna soglia è prevista per trasferimenti tracciati, eseguiti tramite banche, Poste italiane ed altri istituti a cui la legge riconosce capacità di memorizzare le transazioni, al fine di favorire l’intercettazione degli illeciti finanziari.
Medesimo discorso vale per i pagamenti rateali, anche se il costo complessivo del bene acquistato o della prestazione ricevuta – e quindi la relativa fattura elettronica – risulta superiore a 3.000 euro. Così, ad esempio, se il dentista emette una fattura elettronica di 4.000 euro per un trattamento in più sedute, in accordo col professionista si potrà versare l’importo in singole rate in contanti, purché ciascuna non superiore a 2.999,99 euro.
Per quanto riguarda i professionisti, sono ammessi più pagamenti in contanti delle fatture elettroniche. Stando infatti al Dipartimento del Mef, non c’è violazione nell’ipotesi di più pagamenti mensili per un’unica prestazione della durata, per esempio, di un anno. L’esempio pratico è degli odontoiatri, che possono svolgere un unico lavoro per un ammontare complessivo di oltre 3.000 euro. In questo caso il professionista potrà ottenere mensilmente il pagamento di una rata senza dover fare ricorso a diversi sistemi di pagamento tracciabili.
Stesso discorso per i contratti con una ditta di ristrutturazioni della casa che emette un’unica fattura alla fine dei lavori, ma di volta in volta viene pagata a SAL (stati di avanzamento lavori): se la singola rata è inferiore a 3.000 euro può essere pagata in contanti; se invece è superiore va versata con strumenti tracciabili.
Allo stesso modo, risulta sempre legittimo pagare acquisti di beni o servizi in parte in contanti ed in parte in assegno purché, in tal caso, il contante sia inferiore alla soglia di 3.000 euro.
Ed ancora i canoni di locazione di un negozio o un’unità abitativa, anche se fatturati dalla società proprietaria con la fattura elettronica, possono essere pagati in contanti fino a 2.999,99 euro. Da 3.000 euro in su con bancomat, carte di credito, assegni, bonifici ecc.
Rimane invece fermo il divieto per il trasferimento in denaro effettuato con più pagamenti inferiori alla citata soglia che appaiono artificiosamente frazionati al solo fine di eludere la legge (si pensi alla fattura di una vendita corrisposta in più pagamenti in contanti).