Con sentenza n. 54 del 27 gennaio 2021 il giudice Dr. Dario De Luca ha assolto una coppia uscita di casa durante il lockdown perché il DPCM che vieta gli spostamenti è illegittimo per contrasto con la costituzione.
La coppia in pieno lockdown e in zona rossa era uscita di casa senza valido motivo, anzi dichiarando una ragione che è risultata inventata e fasulla. I due erano stati fermati dai Carabinieri per un controllo e avevano esibito un’autocertificazione in cui c’era scritto che la donna doveva fare delle analisi urgenti e l’uomo, un suo amico, la stava accompagnando.
Non era così: i militari dell’Arma hanno accertato che non erano mai stati in ospedale. Così sono stati denunciati entrambi e finiti sotto processo per il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 483 codice penale) che prevede una pena fino a due anni di reclusione. Ma sono stati assolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato».
Perché, se il falso era conclamato? Nelle motivazioni, il giudice afferma che il reato non è configurabile in quanto si tratta di un «falso inutile» e, a ben vedere, non ci sarebbe alcun valido divieto di spostamento imposto ai cittadini: anzi, il Dpcm (si trattava del primo Decreto emanato dal premier Conte, quello dell’8 marzo 2020) è illegittimo.
Infatti, la sentenza spiega che, secondo la Costituzione, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad un atto dell’autorità giudiziaria e non possono essere disposte da un atto amministrativo, quale è il Decreto emanato dal presidente del Consiglio. Inoltre, le restrizioni devono essere disposte «nei casi e modi previsti dalla legge» e dunque non con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come invece si è verificato – spiega il giudice – con «l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Dunque, i Dpcm sarebbero incostituzionali? Per il giudice della ns. città sì: emerge la contrarietà sia all’articolo 13 della Costituzione, che vieta le limitazioni alla libertà personale, sia all’articolo 16 della Carta, che sancisce una libertà di circolazione che l’autorità amministrativa non può limitare neanche quando si esprime al suo livello massimo di governo, cioè attraverso il presidente del Consiglio dei ministri. E nessun cittadino può essere «costretto a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima».
Di conseguenza, il giudice, senza bisogno di ricorrere alla Consulta (non essendo il DPCM una legge), ha «disapplicato» l’atto amministrativo per illegittimità costituzionalmente rilevante (art. 5 L. n. 2248/1865); così, caduta la norma che prescriveva il divieto di spostamento, anche la falsa rappresentazione dei motivi nell’autocertificazione risulta «priva di rilevanza offensiva» e, dunque, scriminata. In sostanza, non c’è nessun obbligo di compilare l’autocertificazione perché il Dpcm che lo prevede è un atto regolamentare che non può contrastare con la norma primaria della Costituzione; così anche chi dichiara il falso non commette alcun reato.
Qui di seguito riportiamo il testo della sentenza:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sezione GIP-GUP
Il giudice, dott. Dario De Luca, provvedendo in Camera di Consiglio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata, come in atti, dal Pubblico Ministero, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
C. D. e G. M., generalizzato/a/i, difeso/a/i. e imputato/a/i, come da allegata copia della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, del delitto di cui all’art 483 CP,
MOTIVAZIONE
Procedendo penalmente contro ciascun imputato per il reato in
rubrica rispettivamente ascritto, il PM richiede l’emissione di decreto penale
di condanna alla pena determinata nella misura di cui in atti.
Ritiene il GIP che la richiesta di emissione di decreto di condanna non possa
essere accolta e che debba trovare luogo una sentenza di proscioglimento, ex
art. 129 CPP, per effetto delle brevi considerazioni che seguono.
Infatti:
– premesso che viene contestato a ciascun imputato il delitto di
cui all’art. 483 CP «…perché, compilando atto formale di autocertificazione per
dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con
l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di
Correggio: G. R. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. di
averla accompagnata…», avendo il personale in forza al Comando Carabinieri di
Correggio accertato che la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso
presso l’Ospedale di Correggio;
– evidenziato che la violazione contestata trova quale suo presupposto – al
fine di giustificare il proprio allontanamento dall’abitazione – l’obbligo di
compilare l’autocertificazione imposto in via generale per effetto del Decreto
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) citato
nell’autocertificazione stessa;
– in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità
del DPCM del 8.3.2020, evocato nell’autocertificazione sottoscritta da ciascun
imputato – come pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del
Governo, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il
diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero
territorio nazionale”, e del rinviato DPCM dei 8.3.2020, ove stabilisce che
“Art. 1 Misure urgenti di contenimento del, contagio nella regione Lombardia e
nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e
Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova,
Treviso, Venezia.
– 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19
nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio
nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara,
Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le
seguenti misure:
– a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai
territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi
territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze
lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
– Tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale.
Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi. Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte Costituzionale; la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio, ugualmente, poiché impattante sulla libertà personale, prevede un controllo tempestivo del Giudice in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge: infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «…atto motivato dall1autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost.
– Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un
atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì
legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere,
direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per
violazione di legge (Costituzionale),
– Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad
ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza
domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a
Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà
di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come
ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i
limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di
accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può
comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964).
In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà
personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici
il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece
il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la
limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà
personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella
specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al
di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e
illegittima limitazione della libertà personale.
– In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per
violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di
disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
– Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato
“costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di
diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di
tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non
sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono
l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta
concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva
illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile
quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini
della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in
questione: al riguardo, è ampiamente condivisibile l’interpretazione
giurisprudenziale, anche di legittimità, secondo la quale “Non integra il reato
dì falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale
l’allegazione alla domanda di rinnovo di un provvedimento concessorio di un
falso documento che non abbia spiegato alcun effetto, in quanto privo di
valenza probatoria, sull’esito della procedura amministrativa attivata.
(Fattispecie relativa a rinnovo di una concessione mineraria)” [Cass. Pen. Sez.
5, Sentenza n. 11952 del 22/01/2010 (dep. 26/03/2010) Rv. 246548 – 01]:
siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque
disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la
compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico
contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di
decreto penale non può trovare accoglimento.
Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di
proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non
costituisce reato,
P.Q.M.
Visto l’art. 129, 530, nonché 459 III CPP,
dichiara non luogo a procedere nei confronti di C. D. e G. M. in ordine al
reato loro rispettivamente ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Reggio Emilia, 27.01.2021.