E’ uscito anche nelle librerie il libro “Mors tua via mea – Il fine non giustifica i mezzi”, a cura di Massimo Viglione e prefazione di Mons. Carlo Maria Viganò.
Il libro verte sulla illiceità morale dei vaccini che utilizzano linee cellulari di feti vittime di aborto volontario.
E’ una raccolta di venti contributi scritti da alti ecclesiastici – un arcivescovo e un vescovo – prelati, docenti universitari, filosofi, medici, giuristi, storici, esperti del settore e militanti per la difesa della Vita umana dal concepimento alla morte naturale senza alcun compromesso ideologico e pratico.
Gli autori sono: Mons. Athanasius Schneider, Don Curzio Nitoglia, Dom Giulio Meattini (OSB), Massimo Viglione, John-Henry Westen, Giovanni Turco, Clara Ferranti, Gianfranco Amato, Paolo Gulisano, Pilar Calva Mercado, Wanda Massa, Cristiano Lugli, Daniele Trabucco, Francesco Lamendola, Marilena Maioli.
Quando mi hanno chiesto di partecipare a questa raccolta non me ne sentivo degna. Il sentimento tutt’ora permane. Ma mi sono convinta a dare il mio piccolissimo contributo, in qualità di giurista e soprattutto di madre di un danneggiato da vaccino, affinché qualcuno leggendo rifletta circa i possibili rischi dei vaccini e soprattutto ponderi i devastanti danni di cui paghiamo tutt’ora le tragiche conseguenze.
Il tema sviluppato nell’intero libro è molto specifico ma di grande attualità e di decisiva importanza morale. E’ un tema che ha diviso profondamente il mondo cattolico, soprattutto nei settori più conservatori e tradizionali. Pertanto, con questa opera collettanea, si vuole fornire una risposta chiara, inequivoca, ragionata e documentata al problema morale posto, che si inquadra nello specifico della cooperazione remota al male.
Come è naturale che sia, ogni autore, nei propri contributi e secondo le proprie competenze, ha affrontato anche le tematiche precipue del proprio settore. Ma insieme non risulta mai astratto dalla realtà dell’attualità politica e socio-economica nella quale ci troviamo a vivere da febbraio 2020, alla quale alcuni autori hanno dedicato specifica attenzione.
Il quadro che ne esce è sicuramente approfondito e ricco di spunti di riflessione e chiarimenti utili alla comprensione tanto del problema morale posto che della drammatica situazione attuale.
DOMANDA: IL DATORE DI LAVORO PUÒ SAPERE SE I DIPENDENTI SONO VACCINATI?
RISPOSTA: NO.
Il Garante Privacy è intervenuto tramite lo strumento delle FAQ per chiarire gli aspetti di protezione dei dati nell’ambito dell’attività lavorativa con riferimento alle vaccinazioni anti Covid-19 ma estendibile a tutte le vaccinazioni. Nello specifico il Garante ha precisato che:1. Il datore di lavoro NON può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione e non può chiedere ai dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale.2. Il datore di lavoro NON può chiedere di fornire copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19 o qualsiasi altra vaccinazione e neppure con l’eventuale consenso del dipendente: il Considerando 43 del Reg. UE 679/2016 (GDPR) ritiene infatti la base giuridica del consenso inopportuna quando sussiste uno squilibrio del rapporto tra titolare e interessato, come appunto nel contesto lavorativo.3. Il datore di lavoro NON può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati e la circostanza che un dipendente sia vaccinato o meno è un dato relativo alla salute, che come tale può essere trattato solo dal medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica come previsto dalle norme che disciplinano.Al contrario, il datore di lavoro può invece acquisire i giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati che, normativa vigente, sono validi unicamente per alcune professioni. Portiamo come esempio l’antitetanica per gli operatori agricoli e il vaccino anti covid-19 per il personale sanitario.
Il Decreto Legge n. 44 – Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, entrato in vigore il 01/04/2021 purtroppo non è un pesce d’aprile ma una tragica realtà.
Abbiamo scoperto che lo stato può imporre un trattamento sanitario obbligatorio, basato su una terapia genica sperimentale, la cui efficacia è dubbia mentre gli effetti avversi, soprattutto a medio e lungo termine, non sono noti, e certamente esiste già una preoccupante casistica sulle sue conseguenze, anche fatali, a breve termine.
Per il momento sono interessati dal provvedimento gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali (art.4, comma 1).
Si tratta di una nuova frontiera nel progressivo annullamento delle nostre libertà fondamentali dove la persona è di fatto spogliata anche del proprio corpo, sul presupposto che essendo di proprietà dello stato può diventare laboratorio di esperimenti medici.
Di fatto il DL ha trasformato i nostri sanitari in cavie di stato, ma nessun’altra categoria di lavoratori può ragionevolmente sentirsi al sicuro.
E’ necessario comprendere l’assoluta gravità di questo ennesimo atto liberticida, che viola la Costituzione, la Dichiarazione di Helsinki, la Convenzione di Oviedo, il Codice di Norimberga, la Normativa sulla privacy, lo Statuto dei lavoratori e la recente Risoluzione 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio d’Europa, che vieta agli Stati di rendere obbligatoria la vaccinazione anti SARS-CoV-2, e di usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersi della vaccinazione.
Il decreto legge n. 44 del 1/4/2021 potrebbe tuttavia non essere convertito in legge, ma è grave che si sia arrivati a concepirne l’elaborazione sulle basi di una politica sanitaria, che con le sue scelte da oltre un anno sta fagocitando ormai tutti i diritti della persona. Di fronte a tale modalità di intervento legislativo si manifestano quindi evidenti profili di violazioni di norme anche di rango costituzionale.
E’ una battaglia di libertà sotto ogni profilo perché questo ennesimo DL impositivo è l’ultimo atto di una serie di abusi che vanno identificati con il loro nome, ma che i più hanno subito passivamente, rendendo di fatto possibile qualunque prepotenza e arbitrio: la mascherina all’aperto, i tamponi senza sintomi, il coprifuoco, la chiusura di locali che avevano adottato protocolli di sicurezza, gli arresti domiciliari delle zone rosse…
Come già rilevato da diversi giuristi, il decreto legge sul vaccino obbligatorio è zeppo di illegittimità costituzionali e, in alcune ipotesi, potrebbe addirittura integrare anche fattispecie di reato per la sua pervasività.
Si stanno quindi elaborando dei ricorsi affinchè si giunga ad un pronunciamento da parte della Corte Costituzionale.
Inoltre prevedendo ai commi 3, 4, 5, 6 dell’art.4 la trasmissione di dati individuali sensibili ai sensi del D. Lgs 51/2018, senza il consenso dell’interessato e al di fuori dell’ambito penale, configura un illecito, a cui si applicano le sanzioni previste dagli articoli 41, 42 e 43 del D.Lgs 51/2018.
L’articolo 41 parla di risarcimento del danno, mentre l’articolo 42 prevede sanzioni amministrative in capo a chi tratta e trasmette tali dati. I soggetti a cui fa riferimento l’art. 42 sono i datori di lavoro e tutti quei funzionari che trasmetteranno i dati per conto del datore di lavoro o dall’ospedale alla ASL. Le relative sanzioni amministrative vanno da 50.000 euro fino a 150.000 euro e sono previste anche sanzioni penali (ex art. 43 D.Lgs 51/2018) fino a tre anni di reclusione.
Consigliamo quindi alle categorie interessate:
• innanzitutto di mantenere la calma, senza cedere alle pressioni psicologiche;
• nell’immediato querelare e presentare esposti al garante della privacy nei confronti di chi trasmetterà i propri dati sensibili;
• alla ricezione dell’invito da parte dell’azienda sanitaria locale di residenza (art.4 comma 5) si può presentare la lettera con la richiesta di vaccinazione e procedere in una delle due modalità:
a) non presentarsi all’appuntamento ed attendere altre eventuali comunicazioni, ripetendo la risposta con la prenotazione della vaccinazione;
b) presentarsi al colloquio con la scheda di richiesta di informazioni sul vaccino. Infatti, trattandosi di una procedura medica, deve sempre essere richiesto il rilascio di un consenso informato.
In ragione del comma 2 dell’art. 4 del DL, è anche possibile agire in modo di attendere maggiori approfondimenti medici, ad esempio esibendo alla richiesta di vaccinazione il certificato redatto da un medico di medicina generale dove vengono prescritti diversi esami di accertamento, quali ad esempio:
o Test Sierologico per accertare la presenza di anticorpi SARS-CoV-2, che potrebbero scatenare una reazione autoimmune in seguito alla vaccinazione;
o Test Anticorpali verso il PEG (polietilenglicole), presente nei vaccini mRNA e principale causa accertata delle reazioni anafilattiche.
Questi consigli sono ancora più importanti soprattutto per coloro che abbiano già sviluppato reazioni avverse alla prima dose del vaccino e non intendano sottoporsi alla seconda.
Da notare infatti che gli effetti collaterali conseguenti alla campagna di vaccinazione anti coronavirus, inclusi i decessi improvvisi, sono stati “brillantemente” risolti nell’articolo 3 del DL che introduce pure un vero e proprio scudo penale per i vaccinatori, sollevandoli da ogni responsabilità.
Di conseguenza, poiché le multinazionali farmaceutiche non risponderanno di eventuali danni, inclusi paresi, disabilità o decessi, in ragione degli accordi siglati dalla Commissione Europea per l’acquisto e distribuzione di vaccini, che sollevano i produttori da ogni responsabilità legale e finanziaria, a pagare per eventuali effetti collaterali gravi sarà lo Stato italiano.
Ovvero tutti i cittadini contribuenti che, di fatto, dopo aver finanziato ed acquistato i vaccini, si devono per giunta assumere la responsabilità, anche risarcitoria, in caso di reazioni avverse.
Particolarmente inquietante è inoltre l’art. 5 del DL, che esautora completamente gli amministratori di sostegno dal prestare consenso alla vaccinazione delle persone in stato di incapacità a loro affidate, avocando questo diritto in capo al direttore sanitario della ASL o della struttura di assistenza o a un suo delegato, dunque bypassando anche eventuali familiari.
Iustitia in Veritate, che nell’analisi di queste problematiche collabora con altri legali e realtà associative, conformemente ai propri intenti di tutela delle persone lese nei propri diritti fondamentali, offre ai suoi associati consulenze legali personalizzate in caso subissero conseguenze in ragione del proprio rifiuto alla vaccinazione e per difendersi contro questa forma impositiva di contrasto al Covid-19.
Nei luoghi di lavoro il suggerimento è di evidenziare situazioni di pressione o di mobbing persuasivi in tale direzione e soprattutto reagire formalmente agli eventuali provvedimenti che, pertanto, vanno contestati.
La situazione è fluida ed è quindi necessario sempre individuare la strategia più adatta ad ogni singolo contesto, ricordando ovviamente che, a fronte di un provvedimento concreto, questo va impugnato.
Milano, 4 aprile 2021 – Santa Pasqua di Resurrezione
Iustitia in Veritate – Corso Venezia 40 – 20121 Milano (MI)
Email: iustitiainveritate@gmail.com – Tel: 02/4507.6634
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Di seguito il testo degli articoli 3, 4, 5 del DL 44 del 1/4/2021: Art. 3 Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2 1. Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione. Art. 4 Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario 1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali
sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano. 2. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita. 3. Entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano. 4. Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi. Quando dai sistemi informativi vaccinali a disposizione della regione e della provincia autonoma non risulta l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, la regione o la provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all’azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati. 5. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l’azienda sanitaria locale di residenza invita l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione, l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al primo periodo, l’azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all’obbligo di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l’azienda sanitaria locale invita l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale. 6. Decorsi i termini di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 7. La sospensione di cui al comma 6, è comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza.
8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato.
9. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. 10. Salvo in ogni caso il disposto dell’articolo 26, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. 11. Per il medesimo periodo di cui al comma 10, al fine di contenere il rischio di contagio, nell’esercizio dell’attività libero-professionale, i soggetti di cui al comma 2 adottano le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adottato con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 12. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Art. 5 Manifestazione del consenso al trattamento sanitario del vaccino anti SARS-CoV-2 per i soggetti che versino in condizioni di incapacità naturale 1. All’articolo 1-quinquies del decreto legge 18 dicembre 2020, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2021, n. 6, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nella rubrica, le parole «ricoverati presso strutture sanitarie assistenziali» sono soppresse; b) dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis. Quando la persona in stato di incapacità naturale non è ricoverata presso strutture sanitarie assistenziali o presso analoghe strutture, comunque denominate, le funzioni di amministratore di sostegno, al solo fine della prestazione del consenso di cui al comma 1, sono svolte dal direttore sanitario della ASL di assistenza o da un suo delegato.»; c) al comma 3, le parole «individuato ai sensi dei commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «individuato ai sensi dei commi 1, 2 e 2-bis» e, dopo la parola «ricoverata», sono inserite le seguenti: «o della persona non ricoverata di cui al comma 2-bis»; d) al comma 5, le parole «presupposti di cui ai commi 1, 2 e 3» sono sostituite dalle seguenti: «presupposti di cui ai commi 1, 2, 2-bis e 3» e, dopo le parole «dalla direzione della struttura in cui l’interessato è ricoverato», sono aggiunte le seguenti: «o, per coloro che non siano ricoverati in strutture sanitarie assistenziali o altre strutture, dal direttore sanitario dell’ASL di assistenza»; e) al comma 7, primo periodo, le parole «ai sensi del comma 2, a mezzo di posta elettronica certificata, presso la struttura dove la persona è ricoverata», sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dei commi 2 e 2-bis, a mezzo di posta elettronica certificata, presso la struttura dove la persona è ricoverata ovvero, nel caso di persona non ricoverata ai sensi del comma 2-bis, presso l’ASL di assistenza».
Con sentenza n. 54 del 27 gennaio 2021 il giudice Dr. Dario De Luca ha assolto una coppia uscita di casa durante il lockdown perché il DPCM che vieta gli spostamenti è illegittimo per contrasto con la costituzione.
La coppia in pieno lockdown e in zona rossa era uscita di casa senza valido motivo, anzi dichiarando una ragione che è risultata inventata e fasulla. I due erano stati fermati dai Carabinieri per un controllo e avevano esibito un’autocertificazione in cui c’era scritto che la donna doveva fare delle analisi urgenti e l’uomo, un suo amico, la stava accompagnando.
Non era così: i militari dell’Arma hanno accertato che non erano mai stati in ospedale. Così sono stati denunciati entrambi e finiti sotto processo per il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 483 codice penale) che prevede una pena fino a due anni di reclusione. Ma sono stati assolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato».
Perché, se il falso era conclamato? Nelle motivazioni, il giudice afferma che il reato non è configurabile in quanto si tratta di un «falso inutile» e, a ben vedere, non ci sarebbe alcun valido divieto di spostamento imposto ai cittadini: anzi, il Dpcm (si trattava del primo Decreto emanato dal premier Conte, quello dell’8 marzo 2020) è illegittimo.
Infatti, la sentenza spiega che, secondo la Costituzione, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad un atto dell’autorità giudiziaria e non possono essere disposte da un atto amministrativo, quale è il Decreto emanato dal presidente del Consiglio. Inoltre, le restrizioni devono essere disposte «nei casi e modi previsti dalla legge» e dunque non con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come invece si è verificato – spiega il giudice – con «l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Dunque, i Dpcm sarebbero incostituzionali? Per il giudice della ns. città sì: emerge la contrarietà sia all’articolo 13 della Costituzione, che vieta le limitazioni alla libertà personale, sia all’articolo 16 della Carta, che sancisce una libertà di circolazione che l’autorità amministrativa non può limitare neanche quando si esprime al suo livello massimo di governo, cioè attraverso il presidente del Consiglio dei ministri. E nessun cittadino può essere «costretto a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima».
Di conseguenza, il giudice, senza bisogno di ricorrere alla Consulta (non essendo il DPCM una legge), ha «disapplicato» l’atto amministrativo per illegittimità costituzionalmente rilevante (art. 5 L. n. 2248/1865); così, caduta la norma che prescriveva il divieto di spostamento, anche la falsa rappresentazione dei motivi nell’autocertificazione risulta «priva di rilevanza offensiva» e, dunque, scriminata. In sostanza, non c’è nessun obbligo di compilare l’autocertificazione perché il Dpcm che lo prevede è un atto regolamentare che non può contrastare con la norma primaria della Costituzione; così anche chi dichiara il falso non commette alcun reato.
Qui di seguito riportiamo il testo della sentenza:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sezione GIP-GUP
Il giudice, dott. Dario De Luca, provvedendo in Camera di Consiglio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata, come in atti, dal Pubblico Ministero, ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
C. D. e G. M., generalizzato/a/i, difeso/a/i. e imputato/a/i, come da allegata copia della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, del delitto di cui all’art 483 CP,
MOTIVAZIONE
Procedendo penalmente contro ciascun imputato per il reato in
rubrica rispettivamente ascritto, il PM richiede l’emissione di decreto penale
di condanna alla pena determinata nella misura di cui in atti.
Ritiene il GIP che la richiesta di emissione di decreto di condanna non possa
essere accolta e che debba trovare luogo una sentenza di proscioglimento, ex
art. 129 CPP, per effetto delle brevi considerazioni che seguono.
Infatti:
– premesso che viene contestato a ciascun imputato il delitto di
cui all’art. 483 CP «…perché, compilando atto formale di autocertificazione per
dare contezza del loro essere al di fuori dell’abitazione in contrasto con
l’obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di
Correggio: G. R. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. di
averla accompagnata…», avendo il personale in forza al Comando Carabinieri di
Correggio accertato che la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso
presso l’Ospedale di Correggio;
– evidenziato che la violazione contestata trova quale suo presupposto – al
fine di giustificare il proprio allontanamento dall’abitazione – l’obbligo di
compilare l’autocertificazione imposto in via generale per effetto del Decreto
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) citato
nell’autocertificazione stessa;
– in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità
del DPCM del 8.3.2020, evocato nell’autocertificazione sottoscritta da ciascun
imputato – come pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del
Governo, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il
diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero
territorio nazionale”, e del rinviato DPCM dei 8.3.2020, ove stabilisce che
“Art. 1 Misure urgenti di contenimento del, contagio nella regione Lombardia e
nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e
Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova,
Treviso, Venezia.
– 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19
nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio
nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara,
Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le
seguenti misure:
– a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai
territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi
territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze
lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
– Tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale.
Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi. Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte Costituzionale; la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio, ugualmente, poiché impattante sulla libertà personale, prevede un controllo tempestivo del Giudice in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge: infatti, l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «…atto motivato dall1autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost.
– Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un
atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì
legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere,
direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per
violazione di legge (Costituzionale),
– Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad
ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza
domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a
Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà
di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come
ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i
limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di
accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può
comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964).
In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà
personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici
il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece
il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la
limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà
personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella
specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al
di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e
illegittima limitazione della libertà personale.
– In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per
violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di
disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
– Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato
“costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di
diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di
tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non
sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono
l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta
concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva
illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile
quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini
della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in
questione: al riguardo, è ampiamente condivisibile l’interpretazione
giurisprudenziale, anche di legittimità, secondo la quale “Non integra il reato
dì falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale
l’allegazione alla domanda di rinnovo di un provvedimento concessorio di un
falso documento che non abbia spiegato alcun effetto, in quanto privo di
valenza probatoria, sull’esito della procedura amministrativa attivata.
(Fattispecie relativa a rinnovo di una concessione mineraria)” [Cass. Pen. Sez.
5, Sentenza n. 11952 del 22/01/2010 (dep. 26/03/2010) Rv. 246548 – 01]:
siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque
disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la
compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico
contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di
decreto penale non può trovare accoglimento.
Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di
proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non
costituisce reato,
P.Q.M.
Visto l’art. 129, 530, nonché 459 III CPP,
dichiara non luogo a procedere nei confronti di C. D. e G. M. in ordine al
reato loro rispettivamente ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Reggio Emilia, 27.01.2021.
Aderiamo all’iniziativa lanciata in data 9 marzo 2021 sul sito www.lamadredellachiesa.it dalla signora Paola de Lillo con l’accorato appello qui di seguito riportato.
I gravissimi episodi di dissacrazione, blasfemia e vilipendio della fede cattolica verificatisi durante il Festival della canzone italiana a Sanremo hanno provocato una diffusa reazione di disgusto, sdegno e dolore. Ne sono la prova le innumerevoli manifestazioni di protesta espresse anche attraverso il web, cui hanno fatto seguito i comunicati in merito emanati dal Vescovo di Ventimiglia Sanremo, mons. Antonio Suetta, dall’Associazione Internazionale Esorcisti e da numerose realtà associative.
In considerazione di questa reazione giusta e doverosa, in qualità di titolare di questo sito e in conformità agli scopi che esso si prefigge, tra cui l’onore ai sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria, propongo, in primis ai cattolici autentici, di passare dallo sdegno ai fatti.
Conoscendo da oltre un ventennio l’avvocato Francesco Fontana, che stimo profondamente dal punto di vista umano e professionale, anche alla luce delle sue recenti iniziative a difesa della Chiesa Cattolica, gli ho proposto di intraprendere un’azione legale nei confronti dei responsabili di siffatte offese alla nostra religione.
Poiché ho ricevuto la sua disponibilità di massima, che è subordinata anche al numero delle adesioni all’iniziativa, invito tutti a farsi parte attiva nell’azione di denuncia da intraprendere a carico di coloro che hanno messo in atto e consentito tali esibizioni blasfeme e di vilipendio. A tal fine è necessario inviare mail con allegata fotocopia fronte-retro della propria carta d’identità, esprimendo il consenso al trattamento dei dati e la delega ad essere rappresentati in giudizio.
Pur essendosi reso disponibile tramite l’associazione Iustitia in Veritate di cui è Presidente e non avendomi richiesto alcun compenso per la sua prestazione professionale, il lavoratore ha diritto al suo salario, come ricorda S. Paolo (1Tm 5,18), perciò invito chiunque ne abbia la possibilità a sostenere quantomeno le spese vive, connesse all’azione legale da radicare nel Tribunale di competenza, donando attraverso la sua associazione “Iustitia in Veritate” un contributo anche minimo come segno della propria partecipazione a un atto di giustizia di cui Dio ci renderà merito. Ricordiamo che a chi cerca innanzitutto il Regno di Dio, il necessario alla vita sarà dato in aggiunta (Lc 12,31) e che l’obolo della povera vedova fu molto apprezzato dal Signore (Mc 12, 42-44; Lc 21, 2-4).
Informo infine che tale comunicato verrà pubblicato sulla pagina facebook di questo sito e che ne sarà data la massima diffusione in ogni ambito cattolico. Chiedo poi a tutti di renderlo noto perché in maggior numero saremo e maggiori saranno le possibilità di ottenere giustizia. Se la denuncia-querela verrà presentata i successivi comunicati saranno pubblicati dall’associazione “Iustitia in Veritate”.
INALIENABILE E INVIOLABILE IL CONSENSO INFORMATO
Il presente parere è stato elaborato di concerto con i colleghi dell’Associazione Iustitia in Veritate – assistenza diritti lesi.
E‘ accesa la polemica scatenata dalle ipotesi di obbligatorietà vaccinale nell’ambito delle c.d. “misure anti Covid”. Con il presente contributo Iustitia in Veritate intende fornire un aiuto per orientarsi legalmente in tale scenario.
Il dibattito è molto vivo a tutti i livelli: secondo alcuni la questione fondamentale in definitiva sarebbe “l’idoneità alla mansione” in base alla quale vige già da molti anni l’obbligo di vaccinazione antitetanica per alcune categorie di lavoratori. Anche in questo caso però c’è chi sostiene che il vaccino non possa essere un obbligo, dal momento che il D.Lgs. 81/08 art. 279 comma 2 lettera a) prevede che sia obbligatoria per il datore di lavoro, “la messa a disposizione di vaccini“, non che sia obbligatoria la vaccinazione.
Inoltre il comma 5 dello stesso articolo fa obbligo al Medico Competente di informare i lavoratori sui “vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione”; dunque salvaguardando di fatto la necessarietà di attingere un consenso “informato”.
In estrema sintesi si può quindi affermare che, da un punto di vista giuridico, allo stato non esiste alcun obbligo di vaccinarsi e nessun trattamento sanitario obbligatorio, e, poiché l’art. 304 comma 1 lettera d) del già citato decreto abroga “ogni altra disposizione legislativa e regolamentare nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo incompatibili con lo stesso”, ciò vale anche per tutti i vaccini.
E, proprio perchè nessun vaccino è astrattamente esente dal provocare conseguenze negative permanenti sulla salute, va quindi anche ricordato che, qualora venisse accertato il nesso causale con la somministrazione, è possibile sempre agire per gli indennizzi previsti per gli eventuali danneggiamenti subiti.
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Fatta questa premessa di carattere generale sull’obbligatorietà o meno dei vaccini, è indubbio che oggi siamo di fronte ad una ipotesi di obbligatorietà ben diversa e certamente più invasiva in quanto i c.d. “vaccini” quali strumenti di tutela contro l’epidemia da Covid-19 sono inequivocabilmente ancora di natura sperimentale.
A tal proposito la stessa European Medicines Agency (EMA) ha autorizzato la commercializzazione del Comirnaty (nome commerciale del vaccino della Pfizer), a condizione che a dicembre 2023 ne venga confermata l’efficacia e la sicurezza, pena il ritiro dal mercato a gennaio 2024. Ne consegue che la bontà della liberatoria che attualmente viene sottoscritta da chi sceglie di sottoporsi al vaccino, potrà essere confermata solo tra due anni, che corrispondono al periodo standard di sperimentazione [1].
Sono inoltre per lo più sconosciuti gli effetti a medio e lungo termine, mentre esiste già una variegata casistica delle reazioni avverse, anche gravi, inclusi alcuni decessi [2].
Va rilevato, inoltre, che nel foglietto illustrativo del vaccino Pfizer-Biontech, a pagina 9, è riportato che “Non sono stati condotti studi di genotossicità o sul potenziale cancerogeno.” [3].
E’ quindi opportuno ricordare che la genotossicità è la “è la capacità di una sostanza di indurre modificazioni all’interno della sequenza nucleotidica e della struttura del DNA di un organismo”.
Suscita non poche preoccupazioni, inoltre, la nota governativa sulle conclusioni dell’Agenzia europea per i medicinali in merito al “rilascio dell’autorizzazione al commercio subordinata a condizioni”, da cui emerge che il Comitato dei medicinali per uso umano (Committee for Human Medicinal Products, CHMP [4]) riterrebbe favorevole il rapporto beneficio/rischio per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata a condizioni, come ulteriormente descritto nella relazione pubblica di valutazione europea (European Public Assessment Report, EPAR [5]).
E tali preoccupazioni sono ancora più fondate soprattutto a fronte di una sperimentazione ancora allo stato iniziale e rispetto alla quale poco si sa in merito all’effettiva durata della protezione offerta dal vaccino, alle sue limitazioni rispetto ad alcuni soggetti, alle interazioni con altri medicinali o di altro tipo, alle effettive limitazioni della sua efficacia, agli effetti nel periodo gestazionale, durante l’allattamento e alle ripercussioni sulla fertilità.
Con il presente documento, pertanto, intendiamo fornire un breve sussidio per orientarsi nei confronti di una più o meno pressante richiesta di sottoporsi al “vaccino anti Covid”, magari accompagnata da appelli all’etica o mascherata da un non meglio specificato invito alla solidarietà, confondendo di fatto il piano della necessaria tutela della salute con quello della doverosa – questa sì veramente etica – conoscenza ed informazione sia sulla provenienza dei vaccini, sia sui relativi rischi.
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In merito alla prospettazione inerente la paventata “obbligatorietà” della vaccinazione per difendersi dall’epidemia da Covid-19, va doverosamente detto che allo stato attuale poco o niente si sa di alcuni dei componenti dei c.d. “vaccini” proposti che sono appena stati posti in commercio, e ancor meno dei possibili effetti collaterali indesiderati. Sarebbe una menzogna negare tali evidenze.
La nota informativa allegata al modulo del “consenso informato” della Vaccinazione anti Covid elenca infatti chiaramente una serie di reazioni negative al vaccino: tosse, febbre, dolori muscolari, etc., che però non destano preoccupazione. Ma è la stessa nota informativa ad ammettere che: “l’elenco di reazione avverse sovraesposto non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi durante l’assunzione del vaccino Pfizer-BioNTech Covid-19. Se Lei manifesta un qualsiasi effetto indesiderato non elencato informi immediatamente il proprio Medico curante” [6].
Tuttavia non è ben chiaro cosa possa fare il Medico curante, in assenza di una garanzia circa le reazioni da parte della stessa casa farmaceutica, soprattutto in quei casi in cui lo stesso modulo del consenso informato prevede come possibili conseguenze anche la “Paralisi facciale periferica acuta”.
Inoltre, il numero 10 dell’allegato del consenso informato recita: “Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”, avvertendo il cittadino rispetto ad eventuali effetti collaterali provocati dal vaccino nel lungo periodo (non meglio precisato). Il che è ancor è più inquietante se si considera che si prospetta di estendere l’obbligatorietà anche ai ragazzi (peraltro in contraddizione con le indicazioni della stessa Pfizer che nel foglio illustrativo del prodotto, al punto 1, sconsiglia la somministrazione del Comirnaty al di sotto dei 16 anni [1]).
Si ritorna dunque al punto cruciale per cui forniamo il presente sussidio orientativo e, nelle ipotesi più gravi, per fornire le motivazioni che possono essere fatte valere a fronte di un paventato obbligo che, a nostro parere, non ha allo stato alcun fondamento né giuridico né soprattutto etico.
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Offriamo pertanto i seguenti spunti:
Occorre quindi dare uno sguardo al panorama normativo vigente.
Nell’ordinamento giuridico italiano ilprincipio del consenso informato trova fondamento costituzionale nell’art. 32 Cost.: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Tale disposizione, relativa specificamente alla tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, deve essere presa in considerazione in combinato disposto con l’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale intesa anche come libertà di decidere in ordine alla propria salute ed al proprio corpo, e con l’art. 2 Cost., posto a presidio di tutti i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità.
Dalla Costituzione, quindi, si evincerebbe l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito dell’individuo a non subire trattamenti sanitari ai quali non abbia preventivamente e consapevolmente acconsentito. Eventuali costringimenti e/o pressioni più o meno palesi in ambito lavorativo che andassero a confliggere con il suddetto principio andrebbero comunque denunciati.
Ulteriori richiami normativi si possono rinvenire:
Nel codice di Norimberga dove, a seguito del processo svoltosi al termine della seconda guerra mondiale contro i medici nazisti che avevano perpetrato torture e sperimentazioni contro innocenti nei campi di sterminio, i giudici del tribunale svilupparono il codice in dieci punti per definire gli esperimenti medici ammissibili. Il primo criterio, che è anche il più importante, stabilisce che il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.
In tali documenti viene cioè chiaramente esplicitato che «la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia».
Nella Dichiarazione di Helsinki, che è un insieme dei principî etici intesi a orientare i medici nella sperimentazione umana, messi a punto dalla World Medical Association e adottati nel giugno del 1964 a Helsinki che ha recepito il principio del consenso, che da volontario diventava informato, quale requisito essenziale per rendere eticamente accettabile una ricerca clinica. La Dichiarazione sosteneva, per la prima volta, la necessità che i protocolli di ricerca clinica e le procedure per ottenere il consenso venissero esaminate da comitati etici indipendenti operanti però all’interno delle stesse istituzioni in cui vengono condotte le ricerche.
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Pertanto, di fronte all’eventuale insistenza o pressione formale al convincimento occorre valutarne l’effettiva pregnanza vessatoria e, dunque, è opportuno che nella libertà di ognuno, si cerchi di rispondere affermando il proprio diritto al consenso informato ed alla libera scelta di sottoporsi alla vaccinazione proposta.
In primo luogo, infatti, imprescindibile è il principio sancito dalla legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), che all’art. 5 intitolato agli “Accertamenti sanitari”, vieta accertamenti da parte del datore di lavoro sulle condizione di salute dei lavoratori.
Si può quindi poi invocare anche l’art. 33 della L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che ha sancito la regola generale per cui il medico non può eseguire trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, a meno che questi non sia in grado di prestare in modo consapevole il proprio consenso e ricorrano i presupposti dello stato di necessità.
Successivamente, la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con la L 28 marzo 2001, n. 145, ha ribadito che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato» (art. 5).
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, all’art. 3 ha stabilito che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» la quale si esplica, nell’ambito della medicina e della biologia, attraverso «il consenso libero e informato della persona interessata» a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario.
Nella Dichiarazione universale sulla bioetica ed i diritti umani dell’UNESCO, approvato nel 2005, all’art. 6 si legge inoltre: “Ogni intervento medico preventivo, diagnostico o terapeutico deve essere realizzato con il previo libero e informato consenso della persona interessata, basato su un’adeguata informazione. Il consenso, dove appropriato, deve essere espresso e può essere ritirato dalla persona interessata in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, senza conseguenti svantaggi o pregiudizi.”
Infine, la stessa prestazione del consenso informato è prevista e regolata anche dal Codice di deontologia medica del 2014 il quale, all’art. 35, che sancisce l’obbligo per il medico di acquisire il consenso del paziente e, conseguentemente, il divieto di «intraprendere o proseguire in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato».
Di conseguenza ad oggi sussiste il diritto ad acconsentire in modo informato al trattamento sanitario che, peraltro, costituisce un cardine del rapporto fiduciario medico-paziente e su di esso si fonda la legittimazione del professionista a prestare la sua attività terapeutica.
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Un aspetto problematico appare lo scenario che si prospetta per i soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite. Il decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2021 stabilisce la possibilità di inoculare il vaccino senza il consenso di volontà del diretto interessato e suoi rappresentanti.
A chi ha i propri cari ricoverati in strutture sanitarie si può suggerire di vigilare attentamente, di rendersi sempre reperibili e, soprattutto, di specificare con la direzione della struttura la propria posizione in merito, anche tramite un legale, perché l’art. 5 di tale decreto legge stabilisce che “le persone incapaci ricoverate presso strutture sanitarie assistite, comunque denominate, esprimono il consenso al trattamento sanitario per le vaccinazioni anti Covid-19 a mezzo del relativo tutore, curatore o amministratore di sostegno” tuttavia “in caso di rifiuto di queste ultime, il direttore sanitario, o il responsabile medico della struttura in cui l’interessato è ricoverato, ovvero il direttore sanitario della ASL o il suo delegato, può richiedere, con ricorso al giudice tutelare ai sensi dell’articolo 3, comma 5 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, di essere autorizzato a effettuare comunque la vaccinazione.”
Il giudice tutelare a sua volta ha 48 ore di tempo per convalidare o negare la convalida della richiesta di vaccinazione. Altre 48 ore sono il limite fissato per la comunicazione di tale convalida o diniego; ma, passati questi termini, è sconcertante che sia stabilito che: “Decorso il termine di cui al comma 7 senza che sia stata effettuata la comunicazione ivi prevista, il consenso si considera a ogni effetto convalidato e acquista definitiva efficacia ai fini della somministrazione del vaccino. “
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Come si intuisce, la situazione è in continuo divenire ma, in effetti, sembra andare nella direzione di una sorta di obbligatorietà della vaccinazione ad oggi proposta.
Nella propria specifica situazione e circostanza ognuno può poter scegliere di agire secondo quello che ritiene più consono a salvaguardare la propria salute come sin qui espresso, dovendo e potendo decidere come resistere in coscienza e libertà nelle eventuali azioni obbligatorie – anche sotto forma di mobbing – in cui dovesse venirsi a trovare.
Restiamo quindi a disposizione per ogni consulenza più specifica, considerando e sottolineando che solo a fronte di un provvedimento formale eventualmente impositivo potrà effettivamente configurarsi la possibile azione di tutela rispetto alla sua asserita fondatezza e / o impugnabilità.
Conformemente al focus della nostra associazione, pertanto, continueremo a seguire gli sviluppi della politica sanitaria italiana rispetto agli eventuali conflitti con i diritti della persona e della libertà di coscienza di ognuno.
Ricordiamo infine che gli associati a Iustitia in Veritate hanno diritto a una consulenza e ad una assistenza specifica nel caso in cui si renda necessario il patrocinio legale.
Milano 17 gennaio 2021
Associazione Iustitia in Veritate
Corso Venezia 40, 20121 Milano
Email: asdilesi.covid19@gmail.com – Tel: 02/4507.6634
www.iustitiainveritate.org – https://www.facebook.com/asdilesi
RIFERIMENTI
[1] pag. 18 – Tabella E in https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/comirnaty-epar-product-information_it.pdf [2] https://www.medalerts.org/vaersdb/findfield.php? EVENTS=ON&PAGENO=2&VAX[]=COVID19&VAXTYPES[]=COVID-19&DIED=Yes ). [3] pag. 9 in https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/comirnaty-epar-product-information_it.pdf [4] punto 3 https://www.ema.europa.eu/en/documents/other/chmp-rules-procedure_en.pdf [5] https://www.ema.europa.eu/en/medicines/what-we-publish-when/european-public-assessment-reports-background-context [6] https://cdn.onb.it/2020/12/all-1-Consenso.pdf
Lo Studio Legale Maioli rinnovando i migliori auguri di Buon Natale, comunica che rimarrà chiuso dal 24.12.20 al 07.01.21.
Che Dio Vi benedica.
We wish you all a very Merry Christmas and all the best for 2021.
God bless you.
Lo Studio Legale Maioli augura alla affezionata clientela e ai preziosi collaboratori un Sereno Natale e un Anno Nuovo pieno di soddisfazioni.
Che Dio Vi benedica.
Dal 1 luglio 2020 il divieto di utilizzo di contante (e dei titoli al portatore, in euro o in valuta estera) per i pagamenti TRA SOGGETTI DIVERSI si abbasserà a 2.000 euro, pertanto:
Notizia battuta dall’Ansa in data 17.03.20.
A seguito del decreto Cura-Italia l’Agenzia chiude quindi gli sportelli. “L’Agenzia delle entrate-Riscossione – si legge in una nota – comunica che il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella giornata di ieri, 16 marzo 2020, ha disposto la sospensione dei termini di versamento di tutte le entrate tributarie e non tributarie derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di accertamento e di addebito, in scadenza nel periodo compreso tra l’8 marzo e il 31 maggio 2020.
I pagamenti sospesi dovranno essere effettuati entro il mese successivo il periodo di sospensione ovvero il 30 giungo 2020. Fino al 31 maggio 2020 sono sospese le attività di notifica di nuove cartelle e degli altri atti di riscossione, sospensione già in atto da alcuni giorni per disposizione del Presidente Ernesto Maria Ruffini.
Il decreto dispone anche il differimento al 31 maggio 2020 della rata del 28 febbraio relativa alla cosiddetta rottamazione-ter e della rata in scadenza il 31 marzo del cosiddetto saldo e stralcio.
In considerazione delle misure contenute nel decreto legge e al fine di tutelare al meglio la salute dei cittadini e del personale addetto, Il Presidente ha dato disposizione per la chiusura dal 18 al 25 marzo degli sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione, presenti su tutto il territorio nazionale, che erogano servizi al pubblico.
Il personale dell’Ente, attraverso attività di back office, garantirà l’operatività e la fruibilità dei servizi online, disponibili h24 sul portale www.agenziaentrateriscossione.gov.it e sull’App Equiclick, fornendo assistenza con i consueti canali di ascolto che, per l’occasione, sono stati potenziati con nuovi indirizzi mail per eventuali richieste di assistenza, urgenti e indifferibili, riferite, ad esempio, a procedure attivate prima del periodo sospensivo.
Per informazioni e assistenza è disponibile anche il contact center di Agenzia delle entrate-Riscossione, attivo tutti i giorni, 24 ore su 24 e, con operatore, dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle 18, al numero unico 06 01 01, sia da telefono fisso che da cellulare, secondo il proprio piano tariffario.